L'apprendistato di un giovane panettiere nel sottobosco della malavita marsigliese. Secco, spietato, umano, privo di ogni concessione: ma lontano da qualsiasi moralismo. Una lezione civica - e cinematografica - esemplare.Camera a spalla, incollata agli attori; come pure agli oggetti, al quotidiano più banale, ai rumori. All'ambiente, nella sua migliore accezione. Ed i personaggi, come per miracolo, esistono, uno dopo l'altro, tutti indistintamente veri, come li conoscessimo da sempre. Sarà il risultato di una cinepresa usata come una lente d'ingrandimento? Che scruta l'intonaco di un muro scrostato allo stesso modo di un volto mal rasato, un seno intravisto attraverso una finestra.
S'incolla, Erick Zonca, al suo ladruncolo-pugile- delinquentello apprendista, lo segue mentre accompagna la vecchina al supermercato, e non lo abbandona più un attimo nella sua esistenza di balordo dagli occhi spalancati su un mondo avaro.
Che gli infilino una pistola - e fosse solo quella- in bocca, che gli squarcino la gola (agghiacciante), al suo giovane protagonista Zonca non risparmia nulla. Ma gli sono bastati 60 minuti, al panettiere di Marsiglia non solo per andare e tornare dall'inferno: ma per vivere per sempre nella nostra memoria
Rispetto al precedente LA VIE REVEE DES ANGES Zonca non cerca di entrare nell'intimo dei personaggi, della progressione drammatica. Resta volutamente al di fuori, osserva la sua rocca di attualità sociale, morale, politica con una durezza analitica che non è mai cinica o disincantata. Ma che, proprio per questo distacco dell'osservazione diventa un documento impressionante di testimonianza, osservazione, intervento.